Enea Dessardo, vincitore del Programma SUSI 2018 (Study of the U.S. Institute for European Student Leaders) in Civic Engagement offre una appassionata e dettagliata panoramica delle cinque settimane passate nella città di Columbia, presso l’University of South Carolina.
La testimonianza di Enea, che ringraziamo per averci trasmesso tanto entusiasmo, è un incitamento a partecipare al prossimo bando per non perdere tale opportunità di crescita.
Complimenti Enea e in bocca al lupo per i tuoi futuri progetti!
Enea dove sei stato?
Buongiorno, il mio programma si è svolto nella città di Columbia, presso l’University of South Carolina. Il tema del SUSI al quale ho partecipato è stato il “Civic Engagement”, un termine tipico per la lingua inglese (e usato soprattutto gli Stati Uniti) che include un po’ tutte le attività che hanno lo scopo di migliorare la qualità della vita di una determinata comunità. Il programma comprendeva sia la teoria e la pianificazione, che l’attuazione di determinati progetti volti appunto a risolvere un problema di interesse generale nella zona.
Raccontaci com’è andata.
Sono consapevole che qualsiasi cosa io scriva non riuscirà mai a descrivere pienamente la grandezza di questo programma, ma ci proverò comunque! Innanzitutto vorrei ringraziare Laura e Federica della Commissione Fulbright italiana e Jackie di
FHI360 (la società che ha organizzato il programma) per tutto il loro aiuto e il supporto che hanno fornito a me e agli altri partecipanti italiani prima della partenza. Dopo di che non posso non menzionare Ray e Alisha, i program coordinators dell’University of South Carolina che ci hanno coccolato durante la permanenza negli Stati uniti e hanno fatto di questo programma un’esperienza che sarà ricordata per tutta la vita: dal momento dell’accoglienza all’aeroporto di Columbia (contanti cartelloni colorati con scritte “Welcome” e “SUSI 2018”), fino all’ultimo abbraccio davanti ai gate per tornare in Europa, loro due sono riusciti a trasmetterci molto di più di quanto si poteva leggere nel bando del concorso per il programma. È grazie a loro, oltre che agli altri studenti europei, ai “cultural ambassadors” americani (studenti dell’università di SC che passavano le giornate con noi), e ai vari guest speakers che questo programma è riuscito a essere, per usare due termini molto di voga negli Stati uniti, amazing and awesome.
Quali attività ricordi con più piacere?
Una delle attività che ricordo con più piacere è stata sicuramente l’esperienza con Habitat for Humanity, un’organizzazione non governativa che aiuta le persone in difficoltà a costruirsi una propria casa. Il bello di questa organizzazione è che niente è regalato o solo consegnato all’utente finale, bensì egli partecipa a dei corsi su come costruire/effettuare la manutenzione della propria abitazione e contribuisce una certa quantità di ore di lavoro verso altri progetti per altre famiglie in difficoltà.
La logica di Habitat for Humanity è di fornire a chi ne ha bisogno le conoscenze per aiutarsi da solo e di rafforzare il senso per la comunità e l’aiuto reciproco della gente.
Un’altra attività divertentissima, che non era in piano nell’orario, è stata la cena comune una delle sere prima di lasciare la Carolina del Sud: ogni studente del programma ha preparato un piatto tipico del proprio paese e, nonostante non fossimo chef provetti, siamo riusciti a preparare e provare una ventina di specialità diverse da tutto il mondo.
Noi del programma SUSI, dopo aver avuto una lezione “formale” dove ci hanno presentato l’organizzazione, abbiamo lavorato in una delle case mettendo a posto il giardino, segando le tavole per gli armadi, posando il pavimento del soggiorno, facendo una parte di tutte le cose necessarie per rendere un’abitazione vivibile. Visto che era anche una delle prime attività di volontariato che abbiamo fatto negli Usa, riuscire a fare qualcosa di concreto e mettere in pratica la teoria del “Civic Engagement” è stata un’esperienza molto gratificante e formativa.
Come descriveresti una giornata “tipo”?
Da lunedì a venerdì le giornate erano soprattutto concentrate sulla teoria, e dunque su lezioni frontali. La mattina avevamo il pre-speaker session, che introduceva il tema della giornata e l’argomento trattato dallo speaker vero e proprio. Dopo il pranzo c’era l’incontro con gli speaker che, seppur esperti oppure personalità importanti dell’università e dell’area, erano tutti molto amichevoli e aperti al confronto e alle domande più svariate. La giornata “ufficiale” finiva con un post-speaker session, momento di riflessione e confronto sui temi discussi con lo speaker. Ovviamente, finite le lezioni noi studenti europei, spesso anche con i nostri colleghi americani, organizzavamo visite ed esploravamo la città da soli (in una di queste occasioni, ho scoperto che il bowling è in realtà più difficile da giocare bene di quello che sembra!).
Un giorno della settimana era inoltre dedicato al volontariato, e oltre a Habitat for Humanity, abbiamo collaborato con il Boys and Girls Club (che aiuta i bambini delle famiglie più bisognose a sviluppare le proprie abilità), con la Harvest Hope Food Bank (che distribuisce generi alimentari a chi ne ha necessità), con i South Carolina Advocates for Epilepsy (che promuovono l’inclusione degli affetti da epilessia nel mondo del lavoro e nella società), e con il Corinthian Garden (un giardino autogestito a Filadelfia).
Il sabato era invece di solito dedicato a visite a città vicine (come Charlotte, in North Carolina, o Charleston sulla costa in South Carolina), mentre la domenica era libera.
Come è cambiata la tua conoscenza della cultura americana?
La cosa che mi ha maggiormente sorpreso degli Stati Uniti, o meglio del Sud degli Stati Uniti, è la cosiddetta southern hospitality: l’accoglienza che hanno verso gli studenti stranieri, sia all’università ma soprattutto tra la gente comune, mi ha lasciato senza parole. La gente è gentilissima e sempre pronta ad aiutarti, e nel Sud vanno giustamente tanto fieri di questa loro caratteristica. Da questo punto di vista, gli Stati Uniti si sono mostrati in una luce molto più positiva di quella che si vede in tv o si legge nei giornali.
Vorrei finire questa intervista con un consiglio a tutti quelli che avranno anche solo una mezza idea di candidarsi per l’anno prossimo: fatelo. Un’esperienza come questa vi cambierà sicuramente la vita, e conoscerete persone bellissime che verranno da tutti i tipi di realtà e che una ad una contribuiranno a rendere di queste 5 settimane un qualcosa di incredibile. Non pensateci su due volte e candidatevi per il SUSI del 2019!